Il libero arbitrio e la Bhagavad Gita

Con la parola “arbitrio” s’intende, comunemente, la facoltà dell'uomo di decidere delle proprie azioni e della propria volontà, quindi libero arbitrio è la facoltà di decidere liberamente il proprio destino.

Questo tema ricorre spessissimo nelle dissertazioni filosofiche, proprio perché il tema della libertà è, da sempre, uno dei più cari all'uomo.

La filosofia occidentale si esprime su questo tema attraverso vari punti di vista, che possiamo riassumere in tre grandi correnti di pensiero.

Determinismo rigido 
Il determinismo è la dottrina filosofica secondo la quale ogni evento che esiste ed accade, comprese le conoscenze e le azioni umane, è determinato in modo causale attraverso una catena ininterrotta di eventi avvenuti in precedenza. Le principali conseguenze di questa dottrina appaiono evidenti: il libero arbitrio è solo un'illusione e tutto ciò che accadrà o potrà accadere in futuro, è già determinato.

Libero arbitrio assoluto 
Il punto di vista opposto ci dice che le azioni umane sono totalmente libere e possono svolgersi in un numero infinito di modi. Il nostro comportamento non è il prodotto precostituito di un grande schema universale, ma è fluido e flessibile ed è essenzialmente senza causa, perché questo limiterebbe il suo svolgimento. 

Determinismo non rigido 
Mentre il determinismo rigido non ci lascia spazio per respirare e il libero arbitrio assoluto apre una porta troppo grande, il determinismo non rigido che si basa su un determinismo rigido, ma lo modifica in modo da consentire il manifestarsi di una libertà personale e di una responsabilità morale, rappresenta un punto di vista intermedio tra questi due estremi.

Cosa dice in merito al libero arbitrio la filosofia orientale? Nella Bhagavad Gita possiamo trovare una prospettiva che armonizza completamente determinismo e libero arbitrio.

Kriṣna spiega che tutti gli esseri viventi hanno una forma spirituale eterna di cui i corpi fisici che vediamo sono solo coperture temporanee. La causa prima di questo imprigionamento è ahamkara. Sebbene questa parola sia di norma tradotta come falso ego, letteralmente significa: “Sono io che agisco.” Ma il vero principio attivo che provoca i movimenti del mondo materiale: la creazione, il mantenimento e la distruzione è l’energia dei tre princìpi o guna.

I guna vengono definiti come gli attributi principali della sostanza-Prakriti, ovvero come i principi qualitativi della sostanza universale. I guna sono tre, complementari e correlati reciprocamente. Sattva guna: esprime la qualità dell’equilibrio, della purezza, della luminosità in sé; rajo-guna, o rajas, esprime la qualità dell’attività dinamica, dell’energia cinetica, del movimento; tamo-guna, o tamas, esprime la qualità dell’oscurità, della massività inerziale e della stasi.1

Quando tutte le opere sono compiute dai guna [modi della Natura], l'uomo il cui sé è traviato dal senso dell'ego pensa: “Sono io colui che agisce”.

Ma chi conosce il vero principio della divisione dei guna e delle azioni si accorge che sono i guna che agiscono e reagiscono gli uni sugli altri, e perciò non ha attaccamenti, o Guerriero dal braccio possente.

I fuorviati dai guna della Natura sono asserviti alle azioni prodotte da questi modi o qualità...2

Ecco qui una chiara distinzione fra due concezioni dell'operare: quella dell'anima3 prigioniera della sua natura egoistica, che agisce sotto l'impulso della Natura, con l'illusione del libero arbitrio, e quella dell'anima liberata dalla sua identificazione con l'ego, che osserva, sancisce e dirige le opere della Natura.

Quindi il libero arbitrio nella tradizione vedica è relativo all’anima. Ma come agisce l’anima? Agisce attraverso il desiderio, che può spingere verso il peccato, l’allontanarsi dal Divino. 

Arjuna disse:

O Discendente dei Vrishni, chi spinge dunque l'uomo verso il peccato, anche contro la sua volontà, come se vi fosse costretto?

Il Beato Signore rispose:

Il desiderio, con [la sua compagna] la collera, parto di rajas, è il grande istigatore del peccato, colui che tutto divora; sappi che è il nemico di questo mondo.4

O può condurre al Divino.

Colui in cui tutti i desideri entrano come entrano le acque nell'oceano, che senza tregua si riempie, ma che tuttavia non aumenta mai di livello, raggiunge la pace - non colui che è preda del desiderio.

L'uomo che abbandona tutti i desideri, che vive e agisce senza brama, che non possiede più né ‘me’ né ‘mio’, costui raggiunge la [grande] pace.

Tale è lo stato brahmico, o figlio di Pritha. Colui che lo ha raggiunto non può più smarrirsi; e se vi si attiene fortemente, anche al momento della morte, raggiunge il nirvana in Brahman.5

Quindi, l’espressione essenziale del nostro libero arbitrio nella tradizione vedica, è il desiderio di arrenderci al Divino oppure no. Come esseri umani, la nostra libertà consiste soltanto nel fatto di avvicinarsi al Divino o allontanarci da Lui. La natura materiale, “sotto la direzione del Divino”, si prende cura del resto. Sulla base dei nostri desideri passati e con l’aiuto delle influenze della natura materiale, alla nascita ci viene dato un corpo adatto a compiere azioni corrispondenti a questi desideri. Nei limiti di questo corpo, abbiamo l’opportunità di formulare nuovi desideri. Questi desideri possono assumere innumerevoli forme, ma sono sempre riconducibili a una delle due grandi categorie: desiderio di avvicinarsi al Divino o desiderio di allontanarsi da Lui.

L'uomo, e in questo sta la sua estrema libertà, non è costretto a piegarsi al volere di Dio, ma è libero di farlo per sua volontà. Infatti possiede l'intelletto e la volontà, due facoltà, queste, che appartengono al mondo dello spirito e non a quello dei sensi. La volontà spinge l’uomo all’atto della scelta, mentre l’intelletto è ciò che realmente gli permette di distinguere il bene dal male. Quindi la libertà dipende strettamente dalla relazione tra questi due fattori: intelletto e volontà.

AssumendoMi quale supremo scopo, abbandona coscientemente a Me tutti i tuoi atti e, ricorrendo allo yoga della volontà e dell'intelligenza, mantieni il tuo cuore e la tua coscienza stabilmente fissi in Me. 6

Quando, infine, arriviamo al punto in cui, senza condizioni e senza interruzioni, desideriamo essere il Sé, allora rompiamo la catena dei successivi corpi fisici e siamo totalmente indipendenti dalle leggi della natura che esercitano su di noi un controllo così rigido. In questo mondo arriviamo al paradosso del libero arbitrio: quando saremo in grado di offrire in ogni momento il nostro libero arbitrio ai piedi del Divino, allora, e soltanto allora, avremo raggiunto l’apice della libertà. 

L’essere che si rifugia in Me, quantunque compia azioni, ottiene l’eterna e indistruttibile dimora.7

[Il saggio] che domina le facoltà sensoriali, la mente e l’intelletto superiore, che persegue la Liberazione, che si affranca dal desiderio, dalla paura e dall’ira, in verità, è libero per sempre. 8


Carla Gabbani
Insegnante Yoga e Formatrice

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1 Glossario Sanscrito, Edizioni Asram Vidya, 1988
2 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.III, vv.27/29
3 Anima intesa come Corpo causale (insieme dei semi del desiderio) distinta dallo Spirito che è il Sé.
4 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.III, vv.36-37
5 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.II, vv.70/72
6 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.XVIII, v.57
7 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.XVIII, v. 56
8 Bhagavad Gita Sri Aurobindo - Lo Yoga della Bhagavad Gita - Ed Mediterranee, cap.V, v. 28

 

 

 

Carla Gabbani

Educatrice

Sito web: www.saivivere.it