Desidero… quella stella!
Da quando eravamo piccoli ci hanno abituati a compilare la nostra “lista dei desideri”. In primis c’erano quelle di Natale e delle cose che avremo tanto voluto ricevere al compleanno. Le occorrenze per ricevere o farsi un regalo si sono poi susseguiti negli anni, e nei mesi! Ad oggi, complice un mercato che ci sollecita fino all’inverosimile, le nostre liste si fanno sempre più lunghe. Ci spingono all’acquisto di oggetti che spesso non servono o che abbiamo già, magari in ottimo stato dimenticato in fondo ad un cassetto. Il guaio è che la natura del desiderio è quello di propagarsi: ne estingui uno e ne nascono subito altri tre! Un po’come le smanie e i capricci dei bambini. Del resto, chi è che li abitua a non essere mai soddisfatti e contenti? A stilare le “loro” liste-desideri?
Citare la corresponsabilità del consumismo forse sa di stantio. Eppure la sensazione di vuoto, il languore della fame che avvertiamo quando il desiderio irrompe nella nostra pancia, viene soprattutto da lì. Bisognerebbe chiedersi se ci si rende veramente conto fino a che punto questi oggetti usa e getta siano in grado di cambiare la nostra chimica, dettare i nostri pensieri e condurre le nostre vite. Forse è comodo non pensarci, e poi che male c’è se ci si riempie di attenzioni?
Ed ecco il punto. A chi si rivolge la nostra attenzione? O meglio, a cosa? Dove stiamo investendo la preziosa energia che ci abita e ci rende esseri straordinari, creativi, capaci di “questo e di più”? Non ci portiamo troppo “fuori”, e poco all’interno? Non si è ancora troppo risucchiati dalle esteriorità?
È difficile liberarsi dal giogo dei sensi, dalla forza di attrazione dei nostri desideri, l’ottenimento dei quali è più che mai a portata di mano. Oggi possiamo esaudirli con un click! Un po’come lo schiocco delle dita del gigante buono che esaudisce ad infinitum ogni voglia improvvisa o ghiribizzo. Desideri che ci sollecitano in continuo riproponendoci emozioni fin troppo prevedibili, soprattutto il sentimento di delusione nel riconoscere che quel oggetto agognato ci ha resi felici e soddisfatti per poco.
Questo acquistare compulsivo fa un po’ paura. È di conforto sapere che c’è chi lavora contro corrente nel tentativo di alleggerirsi grazie al riordino e al distacco. Chissà che la tendenza ad accumulare non lasci finalmente il posto all’impellente necessità di creare spazio tra me e me. Tra quel “me” composito di ciò che possiedo, e il me che non richiede niente per essere ciò che già è!
Un pensiero illuminante rischiara la notte e ci aiuta ad alzare lo sguardo: il significato della parola Desiderio, dal latino “De” (mancanza) e “Siderus” (Stella), ci dice che il vero anelito alla base di ogni desiderio si rivolge a qualcosa di fulgido e sublime, luminosa come una stella. Ne avvertiamo la lontananza e la vicinanza insieme; ci manca, ma sappiamo intimamente che fa già parte di noi. Ogni desiderio nasce da questo bisogno che non potrà mai essere soddisfatto con oggetti materiali. “Se rivolgo la mia energia a “quella stella” che cosa realizzerò?” Fissa e immobile, la sua luce potrà guidarci come un faro nella notte e un sole di giorno. Il resto è una strada che vale la pena di percorrere, un’avventura che vale la pena di fare.
Nel frattempo potremo mettere da parte le nostre liste, che ci ricordano sempre cosa non siamo e cosa non abbiamo, e farlo imparando a mettere un tetto ai nostri desideri. Visualizziamo questo tetto, proprio lì, sopra di noi, che frena, misura e limita il nostro volere sempre di più. Assicuriamoci che ci sia anche un bel lucernaio per non perdere più di vista quella stella.
Un tetto ai desideri ci aiuterà a coltivare il senso e la dignità delle cose, a ricordarci di prendere il tempo per dirsi: “si, mi manca, ma mi serve?”; a ordinare le cose che abbiamo ma anche idee, bisogni e valori. Ci aiuterà a risparmiare risorse e energia e scopriremo che ci manca poco o nulla, tanto da poter donare quello che ci avanza laddove serve. Essere di più, con meno. Ottimo motto per i più piccoli. E ottimo esempio!
L’anatra dalle uova d’oro - ESOPO, Favole, VI secolo a.C.
C’era una volta un contadino che possedeva la gallina più straordinaria che fosse mai esistita. Cosa aveva di così speciale? Ogni giorno faceva un uovo d'oro! Tutte le mattine si recava al mercato per venderli, e da povero divenne presto un uomo molto ricco. Non ci volle però molto tempo che l’andirivieni mattutino gli cominciò a pesare; soprattutto non gli bastava l’agiatezza che aveva. “Potrei arricchirmi ancora di più”, pensò, “e più in fretta”. La pigrizia, l’impazienza e l’avidità ebbero il sopravvento e gettarono un velo di grigio sul cuore dell’uomo finché, senza pietà o ripensamenti, ammazzò con un colpo di ascia la meravigliosa creatura. Lui era convinto che avrebbe trovato migliaia di uova d’oro nella sua pancia, ma non fu così; non ve n’era neppure uno! Fu così che il contadino non solo non divenne più ricco, ma perse tutta la sua fortuna perché la sua preziosa gallina era ormai morta.
Morale della storia? Coloro che hanno abbastanza e vogliono di più prima o poi perdono tutto quello che hanno. Bisogna accontentarsi di ciò che si ha: l'avidità gioca brutti scherzi.
Suzanne Palermo
Illustratrice, Scrittrice ed Educatrice ai Valori Umani
Link del materiale didattico interessante per bambini
Metti un tetto ai desideri